martedì 23 giugno 2009

Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei


Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei
di Sara Scheggia


È davvero così dura sfuggire agli stereotipi? È un peccato mortale rassegnarsi all’abito che fa il monaco? I gruppi di appartenenza, in cui soprattutto i giovani si organizzano più o meno consapevolmente, esistono da sempre. Includono il look, le preferenze politiche, i locali da frequentare, e, ovviamente, la musica. Si parla molto – e male – delle supposte nuove generazioni, quelle cresciute con l’iPod ed il cellulare, quelle che non hanno mai visto un vinile.
Tuttavia, quanto a stereotipi d’ascolto – quelli che collegano al famoso gruppo di appartenenza – sembra non sia cambiato molto: i compagni contro i conservatori, i rockettari contro le ragazzine innamorate dei belloni di turno, i capelloni contro i precisini. Indubbiamente oggi c’è molta più mobilità socio-musicale di ieri, sulla scia della contaminazione dei generi e del dilagare della tecnologia in ogni ambito: non è raro, dunque, imbattersi in un rastone convinto ad un rave. È altrettanto vero, però, che chiunque scarichi musica dalla rete non faccia chiari pensieri sull’utente di cui sta sbirciando l’hard disk.
La curiosità di farsi un’idea ben precisa di una persona solamente conoscendo i suoi dischi preferiti è troppo forte. Si potrebbe addirittura inferire sul tipo di droga che l’utente in questione potrebbe consumare: pesante, se ha dei dischi di Aphex Twin o dei Prodigy; leggera se ha l’intera discografia di Bob Marley. La stigmatizzazione sembra troppo dura, ma è veritiera nella maggior parte dei casi. Anche chi si dichiara “indie”, e cioè indipendente, alternativo alle possibilità proposte, finisce per chiudersi in un circolo ristretto di locali, persone, dischi, libri.
Non è un gran dramma, dunque. Probabilmente si tratta solo di gusti. Del resto, anche le nostre mamme dovevano scegliere se strapparsi i capelli per Mick Jagger o per Gianni Morandi.

(era il 22 novembre del 2005)

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