giovedì 25 novembre 2010

la grammatica del femminismo


Oggi è la giornata internazionale della violenza sulle donne.

Abbiamo visto il caso Ruby, il caso D'addario, il caso Carfagna (ora ministro, voleva dimettersi ma Silvio la capisce e quindi resta) e molti altri casi, in cui le donne sono tristi protagoniste, mostrate come trofei, accompagnatrici e semplici bambolette antistress.

Ma non voglio perdermi nel solito attacco a questa società maschilista, sarei retorica.

Da un lato, segnalo una cosa che ho fatto in questi giorni e di cui vado molto fiera, cioè l'intervista a Shirin Ebadi che gli esteri di Repubblica mi aveva commissionato. Dico "aveva" perchè poi non se la sono presa e io ho visto sfumare il mio sogno di firmare in nazionale. Ci ho provato, ci riproverò. Peccato che da Bologna non passino spesso questi grandi personaggi.
Lei sì che è una gran donna.

L'altra è una riflessione sulla grammatica, che trasuda misoginia.
In italiano se ci sono due nomi, uno femminile e uno maschile, al plurale diventano maschili.  Lo sappiamo tutti, è così. Il femminile è semplicemente qualcosa che viene formato a parte, un'astrazione, una diversità della parola.

In arabo la situazione è ben peggiore. Lo studio da due mesi, a livelli molto altalenanti. Comincio ora a immergermi nella grammatica, molto complicata.
Oggi a lezione il prof ha ribadito più volte che SE IL SOSTANTIVO AL PLURALE SI RIFERISCE A UN ESSERE NON PENSANTE, NON UMANO, NON RAZIONALE, allora l'aggettivo e i pronomi e tutta la frase per comodità prendere IL SINGOLARE FEMMINILE.

Come dire: per gli oggetti, non umani, si usa il femminile. Per comodità.

E non vi sto qui a ricordare che ci sono forme per la seconde e terze persone femminili distinti.

La discriminazione è un fatto culturale. Anche l'assetto linguistico lo dimostra.

Mi sento un po' strutturalista, ma credo che se la lingua cambiasse, cambierebbero un po' anche le teste.

Nessun commento: